Attività Ecomuseo Cascina Moglioni

WORKSHOP RETE ECOMUSEI PIEMONTESI “ECOMUSEI E BIODIVERSITÀ – UN RAPPORTO EQUILIBRATO TRA LE RISORSE NATURALI E GLI USI DEL TERRITORIO”

La registrazione integrale del workshop è disponibile sul canale YouTube dell’Ente di gestione delle Aree protette dell’Appennino piemontese

L’ecomuseo è un museo dell’uomo e della natura
​​​​​Georges-Henri Rivière, Archives ICOM, 13 gennaio 1976

Gli ecomusei da sempre sono impegnati nella ricerca di un proficuo equilibrio tra le attività antropiche e la tutela ambientale. Si tratta di un percorso, iniziato ormai più di 50 anni fa, che si è focalizzato in particolare sulla valorizzazione delle pratiche tradizionali, avvalorate da più recenti studi scientifici, come strumento di interpretazione e di gestione ecologica dei territori. Già coloro che avevano contribuito alla nascita dei primi ecomusei si erano resi conto infatti che lo stato di integrità degli ambienti naturali, più o meno modificati dalla mano dell’uomo, era una condizione indispensabile per una reale giustizia sociale e che un approccio rispettoso nei confronti della natura diventava paradigma di democrazia tra gli esseri umani. L’obiettivo della giornata è stato quello di condividere quelle “esperienze di biodiversità” effettuate dalle diverse realtà ecomuseali piemontesi negli ultimi anni e nel definire ulteriori e future strategie che i singoli ecomusei e l’Associazione degli Ecomusei del Piemonte si prefiggono di mettere in campo. Tre le aree tematiche indagate durante il workshop: NATURA – il valore della biodiversità degli ambienti naturali per le comunità umane; AGRICOLTURA – le pratiche locali di qualità e non intensive come strumento di tutela della biodiversità agricola, dei prodotti tipici e delle razze locali; CULTURA – la diversità culturale come strumento di interpretazione del mondo naturale; l’importanza dell’educazione ambientale e della divulgazione per la tutela della biodiversità.

Sintesi convegno BIODIVERSITÀ IN NATURA (prima parte)

In questa sessione del workshop, dedicata ai paesaggi rurali come luoghi di tutela della biodiversità agricola e naturale, i relatori si sono concentrati su tre diversi habitat: i prati da sfalcio e da pascolo dell’area dell’ecomuseo di cascina Moglioni, il Lago d’Orta dell’ecomuseo del Lago d’Orta e Mottarone e i vigneti dell’ecomuseo delle Rocche del Roero e dell’ecomuseo dei Terrazzamenti e della Vite. Ad accomunare le rispettive esperienze la necessità di preservare tali ambienti, tradizionalmente plasmati dalla mano dell’uomo, con una serie di azioni mirate: studi storici e scientifici; interventi atti al ripristino e mantenimento; coinvolgimento delle comunità locali.

Ecomuseo di Cascina Moglioni
I PRATI DA SFALCIO E I LEPIDOTTERI

Relatori: Giacomo Gola, Ente di gestione delle Aree protette dell’Appennino piemontese, Matteo Paveto, Ente di gestione delle Aree protette del Po piemontese, Manuela Pesce, naturalista e insegnante.

foto E.Arecco

Gli ambienti aperti, i prati da sfalcio e da pascolo, assai diffusi in passato sull’Appennino, sono abitati da specie animali e vegetali di grande pregio naturalistico spesso a rischio di estinzione e pertanto inserite nella “Direttiva habitat” dell’Unione europea; ne è un esempio Euphydryas provincialis, la farfalla oggetto del primo intervento. Si tratta di un lepidottero di colore arancione che vola sui prati di Capanne Marcarolo per pochi giorni all’anno (dai 12 ai 24), alla fine di maggio, e che depone le uova su due piante prative: Knautia arvensis e Succisa pratensis.

Gli studi condotti in collaborazione con l’Università di Torino hanno dimostrato il buono stato di conservazione della popolazione presente nell’area di indagine e di conseguenza l’importanza di preservare questo habitat che, frutto del rapporto secolare tra uomo e  natura, dopo il massiccio abbandono della zona appenninica da parte dei contadini, tende naturalmente a essere sostituito dai boschi già presenti in un’ampia parte della superficie disponibile, con una conseguente perdita di ecosistemi.

Tra le azioni messe in campo dall’ente gestore dell’ecomuseo, a partire dall’attuazione del progetto europeo P.I.U.M.A (Programma di Interventi Unitari di Miglioramento Ambientale) e periodicamente reiterate, risultano centrali il monitoraggio (effettuato con la tecnica della cattura-marcatura-ricattura) e la ricerca di ulteriori areali della specie insieme alla gestione degli spazi naturali frequentati dal lepidottero attraverso pratiche tradizionali quali lo sfalcio, il pascolo non intensivo e la trinciatura. Per mantenere e vivere questi paesaggi strettamente legati ad attività antropiche ormai poco diffuse e però prioritarie per preservare la biodiversità e la microeconomia locale, hanno occupato un ruolo altrettanto significativo il confronto con i portatori di interesse, il coinvolgimento degli studenti impegnati nei PCTO (ex alternanza scuola lavoro) e l’organizzazione di giornate a tema aperte al pubblico.

Il progetto P.I.U.M.A., presentato al Premio Nazionale del Paesaggio 2021, ha ricevuto da parte del Ministero della Cultura una segnalazione con la seguente motivazione.

La Commissione ha ritenuto il progetto meritevole di segnalazione per l’azione volta a ripristinare ambienti di alto valore biologico quali le praterie e i prati-pascoli, habitat il cui valore paesaggistico viene spesso sottovalutato, dedicando particolare attenzione all’attuazione di processi partecipativi finalizzati ad arrivare all’adozione di strumenti normativi condivisi per la gestione sostenibile dell’area.

Per approfondire
www.areeprotetteappenninopiemontese.it
https://www.youtube.com/watch?v=jLWGf-33JI8&t=26s

Ecomuseo del Lago d’Orta
IL RUOLO DEGLI ECOMUSEI NELLA TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ

Relatore: Andrea Del Duca, coordinatore dell’ecomuseo

foto E.Arecco

Nel 1975 Eugenio Montale in una poesia dal titolo “Sul Lago d’Orta” aveva efficacemente descritto la desolante situazione di questo lago piemontese nel quale, a causa dell’acidità delle sue acque, era sparita quasi ogni forma di vita. Solo dal 1989, grazie a un’innovativa operazione di bonifica, effettuata attraverso un procedimento chimico chiamato liming, l’ecosistema si è gradualmente rigenerato favorendo il ritorno di specie animali e vegetali da tempo estinte. 

L’ecomuseo del Lago d’Orta si inserisce nel processo di riqualificazione a partire dal 2014, quando si comprese l’importanza di ricordare la portata della vicenda che 25 anni prima  aveva determinato la rinascita del lago. Sono seguite poi una serie di attività, tuttora in corso, tese al miglioramento e alla conservazione degli habitat naturali presenti con processi di partecipazione attiva e di formazione tra cui la sottoscrizione da parte di oltre 130 soggetti del “Contratto di Lago del Cusio” e la recente organizzazione di un corso di limnologia aperto alla cittadinanza. Insieme alla didattica, quest’ultima proposta, con la successiva nomina di 30 “sentinelle del lago”, si è posta un obiettivo fondamentale: far sì che i residenti imparino a conoscere la biologia del lago e segnalino eventuali criticità.

Un altro aspetto di primaria importanza è dato da specifiche azioni sull’ecosistema condotte dall’ecomuseo in collaborazione con il CNR-IRSA di Pallanza che prevedono: il biomonitoraggio delle cozze di lago, efficaci indicatori dello stato di salute delle acque; l’introduzione di protezioni utili a contrastare la scomparsa dei canneti, ecosistemi fondamentali anche per l’avifauna; la posa di legnaie atte a favorire il ritorno di alcuni pesci (luccio italico, adone, pigo, trota marmorata). Ai precedenti interventi di ripristino si aggiungono quelli finalizzati al contenimento di specie aliene invasive come, ad esempio, il gambero rosso della Louisiana.

Nell’ottica della disseminazione delle esperienze, merita infine una segnalazione la recente cooperazione con le comunità africane che vivono presso il lago costiero di Nokoué in Benin, incentrata sulla stesura di un loro “Contrat du Lac”. Pur inserendosi, infatti, in un contesto assai diverso, l’esempio piemontese può diventare un modello a cui ispirarsi per la gestione virtuosa anche di quell’area naturale.

Per approfondire 
http://www.lagodorta.net/
https://sites.google.com/view/contratto-lago-cusio/progetti-e-mappa/ris-orta
https://www.incubatoionaturale.it/mondo-sommerso-live/

Ecomuseo delle Rocche del Roero/ Ecomuseo dei Terrazzamenti e della Vite
IL PAESAGGIO RURALE STORICO DELLE ROCCHE DEL ROERO COME FRONTIERA DELLA BIODIVERSITÀ

Relatore: Enrico Rivella, consulente Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare

foto E.Arecco

Il paesaggio rurale tradizionale dell’ecomuseo del Roero, inteso come luogo che pur continuando il suo processo evolutivo conserva evidenti testimonianze della sua origine e storia, rappresenta un esempio significativo di coevoluzione tra la biodiversità naturale e la biodiversità agricola. La storia geologica dell’area, insieme all’operosità delle comunità locali, ha contribuito alla formazione di ambienti naturali e agricoli molto diversi tra loro, dagli ontaneti alle zone umide, dai castagneti ai vigneti, habitat che rappresentano oggi un vero e proprio spazio di diversità biologica a cui si accompagna una ricca tradizione di prodotti tipici quali il tartufo bianco d’Alba, la pera madernassa, le circa 30 varietà di pesche e le uve del Roero. Costituiscono questo paesaggio così variegato infatti anche i cosiddetti vigneti “di frontiera”. Essi si trovano ai margini delle zone boschive e sono stati inseriti tra i siti Natura 2000 per l’alto valore ecologico dato dalla presenza di diverse specie animali (in particolare i pipistrelli) e vegetali. Preservare la biodiversità naturale è estremamente importante persino in ambito agricolo: studi autorevoli hanno infatti dimostrato come la ricchezza di organismi vegetali in una coltura permette maggiore produttività e protegge i campi (G. David Tilman). Analogamente i vigneti dell’ecomuseo dei terrazzamenti e della vite di Cortemilia presentano una situazione di grande valore ambientale: in essi vivono, tra le numerose specie vegetali, le ofridi, pregiate orchidee spontanee. Gli stessi muri a secco, perfettamente inseriti nel contesto naturale, diventano rifugio per animali e piante specificatamente adattate a un ambiente roccioso; ne sono un esempio Zamenis longissimus ed Erinaceus europaeus.

Tra i progetti più significativi, volti a tutelare e a promuovere queste aree agricole che convivono in armonia con quelle naturali, si ricordano le Mappe del paesaggio rurale, uno strumento per fare rete, condividere buone pratiche di gestione e favorire un turismo sostenibile a completamento del quale si rivela altrettanto significativa l’esperienza estetica del paesaggio in cui il visitatore si immerge. Coltivare la vite mantenendo, anzi assecondando i profili delle colline, rispettando la presenza di alberi e siepi, senza sbarramenti invasivi si può. Mantenere la biodiversità si può. Si deve. Il quadro finale può essere spettacolare (Ettore Chiavassa).

Per approfondire
https://www.ecomuseodellerocche.it/it/
https://ecomuseodeiterrazzamenti.it/
https://www.reterurale.it/mappepaesaggio

Sintesi convegno BIODIVERSITÀ IN AGRICOLTURA (seconda parte)

Nella seconda parte della mattinata è stato affrontato il tema dell’agricoltura, dell’allevamento e dello stretto rapporto tra le attività delle comunità locali e il paesaggio nel quale esse vivono e lavorano.

Ecomuseo di Cascina Moglioni
LA FIERA DEL BESTIAME E RECUPERO DELLE RAZZE LOCALI

Relatore: Lorenzo Vay, Ente di gestione delle Aree protette dell’Appennino piemontese

Il recupero delle razze bovine locali a rischio di abbandono e dell’antica fiera del bestiame di Capanne di Marcarolo, attuato dall’Ente di gestione delle Aree protette dell’Appennino piemontese e dell’Ecomuseo di Cascina Moglioni, rientra tra le pratiche virtuose per la tutela della biodiversità e della valorizzazione della storia e della cultura del territorio. Queste operazioni di salvaguardia a livello locale si inseriscono in un più ampio processo promosso dall’Unione Europea che, attraverso la Farm to Fork Strategy (European Green Deal), si pone l’obiettivo di giungere a un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente. Anche la Regione Piemonte, in attuazione del Piano Strategico Nazionale PAC 2023-2027, incentiva misure di conservazione delle razze autoctone insieme alla produzione di filiere di nicchia e la valorizzazione di territori che altrimenti rimarrebbero marginali, riconosce inoltre agli allevatori il ruolo di custodi dell’agrobiodiversità. La “tortonese-varzese”, chiamata nell’area dell’Ecomuseo di Cascina Moglioni “montagnina”, ha storicamente una diffusione localizzata in una porzione dell’Appennino ligure-piemontese definito delle “quattro province (Alessandria, Genova, Pavia e Piacenza)”; è una razza bovina rustica, di taglia media con tipiche corna a forma di lira. Si tratta di un animale longevo che si adatta a pascoli poveri e che ha una triplice attitudine (da latte, carne e lavoro). La “montagnina” è certamente la protagonista della Fiera del bestiame delle antiche razze locali di Capanne di Marcarolo (Bosio, Alessandria). Questa manifestazione, che si svolgeva nel giorno di Sant’Isidoro, è rinata nel 2002 grazie all’Ente di gestione delle aree protette dell’Appennino piemontese e al contributo di numerosi allevatori e di giovani appassionati come Evan, diventato asinaio a 6 anni; nel 2009 l’evento ha ottenuto l’importante riconoscimento di “Fiera Regionale Specializzata” mentre dal 2015 è diventata momento di confronto anche rispetto all’attività agricola svolta con la trazione animale. Ogni anno, alla fine di luglio, centinaia di persone giungono a Capanne di Marcarolo per osservare gli animali nelle loro attività dimostrative conoscere mestieri ormai quasi scomparsi come quello del mulattiere e del carrettiere e scoprire le numerose produzioni agricole e artigianali locali.

Ecomuseo del Biellese
NUOVE MAPPE PER NUOVE COMUNITÀ

Relatore: Giuseppe Pidello, Coordinatore dell’Ecomuseo

La vita monastica, che ha rappresentato per secoli uno dei modelli vincenti di utilizzazione delle risorse e di aggregazione sociale, ritrova in questo momento storico la sua attualità: l’organizzazione comunitaria, il rapporto tra la dimensione del lavoro e la dimensione spirituale degli antichi monasteri possono offrire indicazioni importanti a chi voglia fondare i monasteri del terzo millennio e attuare la rivoluzione dolce di cui c’è bisogno oggi. (Maurizio Pallante)

La Trappa di  Sordevolo, cellula dell’Ecomuseo del Biellese, ha una storia antica, che ha inizio nella seconda metà del ‘700. La realizzazione del monastero, voluto dall’imprenditore Gregorio Ambrosetti, rimane tuttavia incompiuta e la struttura, tranne che per un brevissimo periodo durante il quale essa diventa rifugio di un gruppo di monaci trappisti in fuga dalla Francia della Rivoluzione, resta abbandonata per circa 200 anni. Solo alla fine degli anni ‘90 viene intrapreso un processo di rigenerazione di questo luogo da subito interpretato come parte di un paesaggio abitato da una comunità. Paesaggio, abitare e comunità sono state le parole al centro dell’intervento. Abitare un luogo significa vivere nel paesaggio, porsi tra la biodiversità naturale e la biodiversità culturale, plasmare gli ambienti, ricavando dai boschi naturali i prati per gli animali da pascolo, trasformare i prodotti della terra, che sono  di uno specifico paesaggio, in cibo; ne sono un esempio le castagne essiccate, prodotte e utilizzate nella ristorazione locale.

Essere Comunità significa condividere progetti come la costituzione nel 2003 della “Comunità del cibo” attraverso la quale la Trappa con il burro a latte freddo è diventata presidio Slow Food, o l’ “Accoglienza di comunità” che vede il coinvolgimento di una sessantina di imprenditori impegnati a proporre un diverso concetto di turismo. Essere Comunità significa infine lavorare e imparare insieme: la Trappa aderisce al programma culturale  WWOOF e  accoglie ogni anno persone che vogliono fare esperienze di vita e lavorare “alla pari” per un certo periodo. Nell’ambito della didattica, la “Scuola senza pareti” è certamente un modello di grande originalità. Fondata non solo sulla condivisione di saperi e di mestieri ma anche sull’acquisizione di competenze che servono per vivere quel paesaggio, si focalizza sull’arte del coltivare, dell’allevare razze autoctone, del recuperare terrazzamenti, selciati o muretti a secco e del trasformare le materie prime in cibo.

Si tratta inoltre di una scuola senza cataloghi o pacchetti predefiniti, una scuola legata alle stagioni, al meteo a quello che in quel momento l’abitare lì comporta; una scuola in continua evoluzione, capace di sperimentare nuove forme di apprendimento come  l’ideazione delle “transumanze educative”: un apprendere strada facendo attraverso il trasferimento e l’esplorazione o la creazione di mappe di comunità digitali e immersive che offrono agli studenti la possibilità di diventare i protagonisti del loro percorso formativo.
Per approfondimentI:
https://www.provincia.biella.it/aree-tematiche/turismo-cultura-e-sport/ecomuseo-del-biellese
https://www.reterurale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/25193

Sintesi del Convegno Biodiversità e Diversità culturale (terza parte)

L’ultima parte del workshop si è focalizzata sul ruolo della cultura come strumento di conoscenza, interpretazione e trasmissione dei temi relativi alla biodiversità. Il teatro, l’arte contemporanea, la didattica esperienziale, i momenti di divulgazione e condivisione del sapere sono mezzi di comunicazione efficaci perché agiscono sul coinvolgimento non solo emotivo delle persone, avvicinandole alla comprensione della natura con modalità sempre diverse e originali.

Ecomuseo del Basso Monferrato Astigiano
ARTE, TEATRO, NATURA

Relatrice: Lorenza Zambon, attrice e autrice della formazione teatrale “Casa degli alfieri” di Castagnole Monferrato (AT)

“La casa degli alfieri”, collocata su una collina del Monferrato, è stata per Lorenza Zambon lo spazio geografico da cui è nato il suo “teatro della natura”; un’esperienza di vita dalla quale è iniziata una ricerca artistica che non si è mai arrestata. L’arte non è solo un mezzo potentissimo di comunicazione della natura perché lavora sulle emozioni, ma è un mezzo di indagine e di comprensione della natura. Quella stessa natura che lei, in prima persona, trasferendosi dalla città, ha imparato a conoscere grazie a un percorso di scoperta, talvolta conflittuale più spesso improntato sulla meraviglia, che sembra ripercorre le tappe originarie dell’umanità quando – secondo Giambattista Vico – a partire dalla foresta ha avuto origine la civiltà.

Con il tempo, le specie animali e vegetali, che popolavano quel luogo, sono diventate via via sempre più familiari. Il “selvaggio”, frutto dell’incuria degli anni, è stato trasformato in giardino, bosco, paesaggio, l’opera complessiva, la grande opera del pianeta della natura e degli umani insieme che si svela, attraverso il cammino, come un essere in divenire nello spazio e nel tempo. Il paesaggio dunque nella sua dimensione immersiva, non è semplice scenografia, ma diventa protagonista degli spettacoli teatrali che lei mette in scena, rigorosamente organizzati all’aperto, nella natura. “7 volte bosco 7 volte prato”, “Storia del dialogo fra gli uomini e le piante”, “Variazioni sul giardino”, “Prima lezione per giardinieri anonimi rivoluzionari”, “Lezione per giardinieri planetari”, “94 passi in giardino”, “Il giardino segreto”sono solo alcuni dei titoli più noti. Oltre al teatro si possono ricordare innumerevoli altri progetti ideati dall’artista che affrontano il tema della natura nelle più diverse declinazioni tra cui il “Festival della natura” (oggi “Festival della biodiversità”) a Milano o  le “audioguide del paesaggio”.

Nel lavoro artistico di Loredana Zambon la diversità naturale si fa diversità di idee, di modi di vedere e raccontare il mondo perché “la casa degli alfieri” e il suo percorso di vita e di teatro, come lei stessa ci ricorda al termine dell’intervento, vogliono essere una visione alternativa al pensiero unico della metropoli che solo chi vive nei territori può cogliere pienamente.

Per approfondimentI:
www.casadeglialfieri.it

Ecomuseo di Cascina Moglioni
GENIUS LOCI

Relatori: Isidoro Parodi, FAI-Delegazione di Novi Ligure (AL); Angela Picariello e Lucina Alice, Liceo Amaldi di Novi Ligure (AL)

“Genius loci” è un progetto pluriennale, ideato dal Liceo Amaldi di Novi Ligure e realizzato in sinergia con numerose realtà locali tra le quali l’Ente di gestione delle Aree protette dell’Appennino piemontese-Ecomuseo di cascina Moglioni e il FAI.

Il FAI, in questi ultimi anni, ha lavorato sempre più sugli aspetti di valorizzazione e di tutela ambientale: si pensi, ad esempio, al recupero della vacca burlina e al ripristino dei suoi habitat naturali (presso la malga di Monte Fontana Secca-BL) di cui si è reso promotore o all’organizzazione delle campagne “FAI per il clima” o “FAI biodiversità”, con azioni vicine a quelli che sono gli ambiti di competenza delle aree protette e degli ecomusei e che hanno portato, a livello locale, alla firma di un protocollo d’intesa tra le due istituzioni. Nel campo della didattica e dell’educazione civica e ambientale, inoltre, lo scorso anno il FAI ha lanciato il concorso nazionale “Agri-cultura: costruiamo l’Atlante dei paesaggi rurali italiani” al quale hanno aderito anche gli studenti del liceo Amaldi ampliando, con questa nuova sfida, il loro progetto intitolato “Genius loci”.

Il liceo classico di Novi Ligure da anni ha potenziato lo studio delle lingue classiche e in particolare del greco con l’obiettivo di fornire ai propri allievi la possibilità di cogliere appieno l’unicità di quella cultura; la civiltà greca – come ha sottolineato la Prof.ssa Lucina Alice – ci insegna a vedere il mondo come un luogo popolato di dei; che cosa significa vedere il mondo popolato di dei? Tradotto nella nostra contemporaneità, significa conservare il senso del mistero, significa avere il gusto della meraviglia, significa avere capacità visionaria, significa avere e coltivare il senso del sacro. Frequentare la natura per i più giovani è un modo concreto per scoprire questa narrazione mitica dell’universo, questa voce arcana e primordiale dei fenomeni, per comprendere che la realtà può essere colta sotto altra forma e sotto altra specie. Solo così, attraverso l’educazione e un rinnovato rapporto tra uomo e Terra, si potrà forse contribuire a una rivoluzione del cuore che insegna o che dovrebbe insegnare ad abitare il mondo, come ha detto bene qualcuno, in una forma poetica e contemplativa e non più insensatamente predatoria e avida come stiamo facendo in questo tempo.

La natura e il paesaggio sono diventati quindi i protagonisti del progetto “Genius Loci”, curato dalla Prof.ssa Angela Picariello, e della successiva partecipazione al concorso FAI. Si è trattato di percorso strutturato che ha coniugato le lezioni di storia dell’arte sulla rappresentazione artistica del paesaggio e quelle di diritto, incentrate sulla tutela ambientale, con una didattica per competenze. Prima della realizzazione del video con cui hanno concorso, gli studenti hanno seguito un programma di formazione specifico: hanno frequentato corsi di storytelling e workshop di team building, hanno effettuato delle video interviste alle persone che abitano e operano sul territorio, hanno partecipato alle giornate FAI di primavera e alle uscite didattiche nei comuni delle “Terre del Gavi” e nel Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo. 

Un’esperienza formativa autentica, le cui finalità sono racchiuse nella riflessione finale del video.

Lavorare su questo territorio e interagire con le persone che sono a contatto con esso quotidianamente, ci ha permesso di comprendere a fondo la vera bellezza dei luoghi che finora ci limitavamo ad abitare, ma che d’ora in poi ci impegniamo a custodire. Il nostro progetto si basa su un principio fondamentale: l’educazione delle nuove generazioni alla bellezza attraverso il paesaggio, che rappresenta il patrimonio principale di una comunità, il suo spazio di vita. Conoscere un territorio per raccontarlo è quanto ci siamo prefissati di fare, consapevoli di quanto sia importante insegnare alle generazioni future la responsabilità dei luoghi che siamo e la corretta gestione delle risorse di cui dispone al fine di incoraggiare comportamenti e stili di vita appropriati e sostenibili.

Per approfondimentI:
www.facebook.com/delegazionefainoviligure
www.amaldinovi.edu.it

Ecomuseo Colombano Romean
L’ECOMUSEO COLOMBANO ROMEAN E LA SUA LINGUA MADRE

Relatrice: Nadia Faure, Ente di gestione delle Aree protette delle Alpi Cozie

L’Ente di gestione delle Aree protette delle Alpi Cozie (già Ente di gestione del Parco Naturale del Gran Bosco di Salbertrand, “Salbeltran” in occitano) oltre a garantire la tutela e la valorizzazione delle aree protette e della biodiversità, già a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, ha iniziato a occuparsi di tematiche care agli ecomusei, nella consapevolezza che natura e cultura sono un binomio inscindibile. L’Ecomuseo Colombano Romean, dal nome di un eroico minatore del XVI secolo, si trova infatti nel Parco Naturale del Gran Bosco di Salbertrand, un piccolo parco di montagna in  Alta Valle di Susa, a 18 km dalla frontiera francese. 

L’istituzione nasce con l’intento di prendersi cura dei manufatti della tradizione contadina e degli antichi edifici, tra i quali il mulino idraulico del Martinet, con un’azione che si è protratta nel tempo fino alla rigenerazione di 15 siti, oggi diventati parte integrante del percorso ecomuseale che dal borgo si snoda fino al Gran Bosco. Luoghi, collezioni, storie, che, grazie alla ricerca sul campo permettono di ricostruire le origini e l’identità di una comunità. Fanno parte di questa operazione di raccolta del patrimonio materiale e immateriale, le 33 pubblicazioni del progetto “Cahier dell’Ecomuseo”, dedicate alla cultura e alla lingua occitana, e le numerose attività, tra cui le visite teatralizzate, finalizzate alla tutela di questa parlata minoritaria. L’Ecomuseo parla in patois, parla in occitano e valorizza, attraverso uno sportello linguistico e un punto informativo, il francese, che è stato idioma d’uso fino alla fine del XIX secolo.

L’occitano occupa una regione geografica ben precisa, l’”occitania”, che si estende dalla Val D’Aran in Spagna alle vallate alpine occidentali dell’Italia, attraverso la Francia. Nel nostro Paese è riconosciuto e tutelato dalla Costituzione Italiana (all’articolo 6), dalla legge n. 482 del 1999 (“Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche-storiche”) e, a livello locale, da proposte culturali, come quelle organizzate dall’ecomuseo. Si tratta di una lingua orale, difficile da trascrivere ed estremamente variabile; ne è un esempio significativo la parola “acqua”: eau in francese, eva in francoprovenazale, àigo in  Alta Val Dora a Chiomonte, éigo a Les Ramats (frazione di Chiomonte), àighe ad Exilles, ma anche a Bardonecchia e Clavieres, àigä a Salbertrand, àigh a Oulx, èiga a Thures, àigo in bassa Val Chisone, Val Germanasca e Val Varaita, àiga in Val Vermenagna, entrambe nelle Valli Po, Maira, Grana e Stura.

È un sistema linguistico ricco, il cui valore  letterario, nonostante i sistematici tentativi di omologazione e sostituzione a favore delle lingue nazionali di riferimento (l’italiano e il francese), è stato riconosciuto nel 1904 quando lo scrittore Federico Mistral ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura per il poema “Mireio”; un patrimonio prezioso che le comunità locali hanno il dovere morale di preservare, seguendo l’esempio della maestra Clelia Baccon, mancata recentemente, all’età di 94 anni. Di lei restano numerosi canti e poesie, insieme alla traduzione del primo canto dell’ “Inferno” di Dante, testo attraverso il quale Clelia voleva evidenziare le potenzialità di questa lingua madre a lungo perseguitata ed emarginata.

Oggi i suoi brani musicali vengono eseguiti a Salbertrand durante le funzioni religiose e, secondo Nadia Faure, quel canto, in quella lingua, raccoglie tutti i significati di un ecomuseo.

Per approfondimenti

Ecomuseo Terra del Castelmagno
LA SALVAGUARDIA E LA VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO ATTRAVERSO L’ARTE CONTEMPORANEA

Relatrici: Barbara Barberis e Zelda Beltramo, Coordinatrice e Collaboratrice dell’Ecomuseo

L’Ecomuseo Terra del Castelmagno si trova nella Valle Grana, una delle valli occitane più piccole del cuneese; a lungo essa è stata considerata un’area svantaggiata, poco turistica perché priva di un collegamento diretto con la Francia e di impianti sciistici di risalita, condizioni che, tuttavia, nell’ottica di un recupero storico, sono diventate potenzialmente motivo di pregio. Il programma di valorizzazione dei luoghi e della memoria locale, partito da un’attività di ricerca, studi e interviste, negli ultimi anni, si è arricchito dell’esperienza dell’arte contemporanea.

L’idea è nata con l’obiettivo di reinterpretare e far rivivere un paesaggio naturale, caratterizzato dalla presenza di 10 cave di ardesia, ormai dismesse, attraverso il linguaggio dell’arte.

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Questa iniziativa ha conseguito un primo importante traguardo grazie all’ideazione di un progetto residenziale che ha portato alla realizzazione di “Sulla via del ritorno”, un’installazione dell’artista della LAND ART, Johannes Pfeiffer;  durante il suo soggiorno il legame con i luoghi e le persone è andato consolidandosi giorno dopo giorno, consentendo così la creazione di un’opera d’arte partecipata, nata da un reciproco e autentico scambio.

Dopo questo primo successo, l’Ecomuseo Terra del Castelmagno ha lanciato una seconda proposta, “CLIC!”, incentrata sulle fotografie storiche di famiglia, attività per la quale, oltre all’artista Alice Lotti, hanno dato un importante contributo diverse figure professionali quali psicologi, antropologi e fotografi. La comunità si è allora incontrata per riflettere su se stessa, su come le abitudini e gli usi familiari siano cambiati nel corso dei decenni e per dipingere, al termine del percorso, un murale. Analoga per intenti, “Esaportale”, l’opera collettiva realizzata dalle classi primarie e secondarie, calendario scolastico 2023-2024, nell’ambito del bando EXPLORA di Fondazione CRC. Dodici classi hanno partecipato ai laboratori di co-creazione in outdoor, sul tema dell’abitare e dell’accoglienza.

Tra le esperienze precedentemente illustrate, nelle quali è emerso un modo originale di interpretare uno spazio abitato, si inserisce infine “Beica Ben”, il percorso culturale coordinato da Zelda Beltramo. “Beica Ben”, in occitano, significa guardare bene, porre attenzione e quindi l’idea di questo progetto è quella di far raccontare attraverso gli artisti, attraverso lo sguardo dell’arte contemporanea, questa realtà territoriale.

Per Approfondimenti:

INTERVENTO CONCLUSIVO
“Etnolinguistica e toponomastica nelle valli del Lemme, del Piota e del Gorzente. Memoria e analisi di un processo di estinzione”

Relatore: Gianni Repetto, già Presidente del Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo

“Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà… la poesia dialettale… per quanto mediocre essa sia… pone sempre di fronte a un fatto compiuto, con tutta la fisicità di una nuvola o di un geranio”
Pier Paolo Pasolini

La toponomastica, nell’ambito delle ricerche linguistiche, risulta essere particolarmente significativa perché, come evidenziato da Fabio Padoa, “(…) tra tutti i documenti, massimamente longevi sono i nomi propri di singoli luoghi, cosiddetti toponimi, che si tramandano talvolta corrotti o trasformati dall’uso, nel succedersi delle lingue e delle culture, su un dato territorio”. L’operazione di mappatura, mezzo straordinario per riscoprire un passato quasi originale, presenta tuttavia diverse difficoltà: dall’individuazione di informatori ancora legati a un dato territorio, alle contaminazioni dovute al contatto con l’italiano o con altri idiomi parlati nelle zone limitrofe. Per far fronte a questi ostacoli, è stato necessario pertanto  “lavorare sulla memoria (…) cercare di evocare l’ambiente umano e di lavoro che era stato teatro delle loro parlate giovanili (…). Si trattava dunque di insistere, di portare avanti un’operazione maieutica che consentisse di ripulire termini e pronunce. Lo stesso andava fatto per i luoghi talora ricordati addirittura con maggiore  nitidezza da chi li aveva lasciati ormai da tempo e conservava di essi  un’immagine intatta nei riferimenti”.

La ricerca, svolta nei territori dell’ecomuseo di cascina Moglioni, ci ha restituito 1400 toponimi e con essi numerose informazioni. Dalle indagini condotte si è giunti alla definizione di tre distinte aree linguistiche (Val Lemme, Capanne di Marcarolo e Colma), tutte riconducibili però alle parlate liguri-piemontesi con un’elevata percentuale di lemmi liguri, più o meno marcata, a seconda del luogo di riferimento.

Dai toponimi inoltre si conferma la presenza di un precedente substrato celto-ligure: testimoniato, ad esempio, dal “termine celtico vèrna, relativo all’ontano, che sopravvive inalterato nei dialetti del nostro territorio. La radice ver– ne indica la caratteristica ambientale di crescere nei pressi di fiumi, laghi o comunque pozze d’acqua”.

Più in generale, i significati dei toponimi restano talvolta oscuri, anche se non mancano certi riferimenti al mondo naturale e contadino. Per citare solo alcuni esempi: in ambito botanico, la cascina a Purassa – l’asfodelo o la cascina i Fói – i faggi; in quello faunistico la cascina  l’Asctù – l’astore; in relazione a costruzioni e pratiche tradizionali, la cascina  i Arbèghi – gli essiccatoi per le castagne.

Per quanto riguarda le operazioni di trascrizione dei termini dialettali, per le quali a oggi persistono numerose incertezze, dovute a modalità di registrazione non convenzionali tra i “non esperti”, per la pubblicazione dell’Atlante toponomastico del Piemonte montano-Capanne di Marcarolo, si è fatto riferimento alle indicazioni generali dell’Atlante linguistico del Piemonte parlato, con l’obiettivo di uniformare le ricerche e rendere fruibile una lingua per sua natura orale.

Nella parte conclusiva dell’intervento, Gianni Repetto si è infine soffermato sulle ragioni della scomparsa di queste parlate, un fenomeno lungo ma inesorabile, al quale si associa una altrettanto radicale perdita di saperi tradizionali ormai quasi dimenticati da coloro che abitano quei luoghi. 

Le cause sono dovute a numerosi fattori: da un lato l’abbandono, a partire dal secondo dopoguerra, di luoghi ritenuti allora marginali, con una relativa e progressiva sparizione della civiltà contadina di cui i dialetti erano espressione, dall’altro un utilizzo dell’italiano a favore del quale, già dal periodo fascista, si era fatta un’operazione mirata di sostituzione linguistica, per arrivare alla presenza attuale di nuovi residenti, giunti dai centri urbani vicini come Genova. A questo fenomeno, definito “neoruralismo”, si aggiungono infine altri motivi di declino, riconducibili a un mutamento generalizzato nei modi di vivere e di pensare della collettività e così sintetizzati dal relatore: “la mentalità cittadina che non è interessata a conoscere la storia, la lingua e la Memoria dei territori rurali che va ad abitare; la sostituzione di pratiche e di abitudini millenarie con altre nient’affatto produttive e conservative del territorio, ma frutto di culture straniere spesso scimmiottate, dalle pratiche yoga al gong del Tibet; la società dello spettacolo, che disdegna il lavoro e la cura ambientale e danza come la bella Ofelia sulla catastrofe”.

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