Attività Ecomuseo Cascina Moglioni

Ciâbèlla, lucciola nel dialetto di Capanne di Marcarolo

Era all’inizio dell’estate il momento migliore per osservare le lucciole che con il loro bagliore a intermittenza illuminavano i campi di grano e i paesi, laddove i contadini ricavavano dei temporanei depositi da usare per la trebbiatura dei cereali.

Un’immagine che, ancora viva tra gli abitanti dell’area dell’ecomuseo, si perde nella notte dei tempi.

foto G.Gola

Già Plinio il Vecchio, in effetti, nella sua opera, “Naturalis historia”, evidenzia uno stretto rapporto tra le coltivazioni di miglio, panìco e orzo e le lucciole. Plinio, per indicare queste ultime, utilizza inoltre due termini  lampyris,ĭdis (di derivazione greca) e cicindela,-ae, oggi noti, come prestiti linguistici, in ambito scientifico per definire rispettivamente due Famiglie di coleotteri quella dei Lampiridi e quella dei Cicindelidi.

Le lucciole, però, con il passare degli anni, si sono fatte sempre più rare e pochi ricordano la parola dialettale (lucciole, nel dialetto di Mornese) con cui venivano chiamate.

lucciole nel dialetto di mornese

Una delle cause della diminuzione della specie è, secondo gli esperti, l’inquinamento luminoso, lo stesso che ci impedisce di osservare, nelle stesse sere d’estate, le stelle cadenti: le luci artificiali, infatti, rendono meno efficace la bioluminescenza di questi insetti, una strategia fondamentale nel rituale di accoppiamento, attraverso cui maschi e femmine interagiscono tra di loro. 

Alla perdita di biodiversità e di patrimonio culturale si somma infine un altro aspetto di non secondaria importanza: l’impossibilità per molti di noi di fruire di quell’esperienza emozionale di cui ci parla, tra le righe, il nostro scrittore latino (…) quando la sera si veggono le lucciole per li campi. Perché così chiamano i contadini gli animaletti stellati che volano, quali i Greci chiamano lampiride; ed è questa un’incredibile benignità della natura. (traduzione di M. Lodovico Domenichi).